Antonio Ligabue
Gattopardo con teschio
“Provava per loro un amore fortissimo e nell’aia di casa bastava che facesse strani gesti con le mani ed emettesse un leggero sibilo, perché tutti gli animali come impazziti gli corressero intorno.” Lo racconta lo scultore Marino Mazzacurati.
Il personaggio nell’aia era Antonio Ligabue, i cui dipinti di animali sono di una tale ingenua drammaticità da lasciarci ogni volta sorpresi.
Di umili origini (figlio naturale di un’italiana emigrata in svizzera) Ligabue ebbe un genio innato, un’assoluta istintività primordiale, che tramutò in arte la sua complicità con la natura in un linguaggio figurativo che parla genuinamente di cose semplici.
Nato nel 1899, fin dalla più tenera età Ligabue ha avuto un'esistenza difficile.
Figlio naturale di un'italiana emigrata, ha sempre ignorato il nome del padre.
Anche quando cominciò ad essere accarezzato dalla fama, Antonio Ligabue,
il "buon selvaggio" della pittura italiana, continuava ad essere un personaggio inquietante,
diverso, strano; per quella sua miseria solitaria, consumata rintanandosi tra gli alberi,
le nebbie e le calure della Bassa Padana; per quell'infanzia irrequieta e malaticcia
vissuta in Svizzera con una madre adottiva; per la sua parlata mezza tedesca,
le ossessioni maniacali, i ripetuti soggiorni in manicomio .
Ma a riscattare tanta sofferta alienazione e un passato da reietto vagabondo
approdato nel luogo di origine del padre - il paese emiliano di Gualtieri - c'era,
sorprendente quanto ogni aspetto del suo essere, una genialità artistica
capace di trasformare gli incubi in incantate visioni colorate,
gli ordinati filari di pioppi in giungle popolate da belve feroci.
Tigri con le fauci spalancate, leoni nell'atto di aggredire una gazzella,
leopardi assaliti da serpenti, cani in ferma e galli in lotta: predatori e prede,
selvatici e domestici, sentiva gli animali come compagni, li comprendeva e
li amava più degli uomini: e ad essi più che agli uomini, voleva assomigliare.
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